Questo articolo non avremmo voluto scriverlo. Siamo sempre stati convinti che la transizione energetica debba passare anche attraverso l’aria nuova che le start-up, soprattutto nell’hi-tech, hanno dimostrato di saper portare. E proprio la transizione aveva indotto molti a pensare che le barriere all’entrata nel mercato, e nella produzione, dei camion e dei furgoni potessero cadere o, perlomeno, ridursi. Di più, forse qualcuno anche si era convinto che la start-up stessa potesse essere ambita e comprata dagli stessi grandi gruppi industriali che dominano il mercato truck&van. Ebbene, così non è stato.

Iniziano a farsi tanti, infatti, i costruttori che non sono stati in grado di superare la fase ‘power point’ (presentazioni, strategie, proclami) o quella prototipale. Troppo complesso mettere in piedi dal nulla una supply chain, attrezzare impianti produttivi e predisporre la rete di vendita e assistenza su scala internazionale. In fondo, seppur con la catena cinematica semplificata a livello di componenti, i veicoli commerciali elettrici o a idrogeno (i cinesi utilizzano la formula omnicomprensiva ‘new energy’) devono essere costruiti, commercializzati e riparati proprio come quelli dotati di motore a combustione interna.

I nuovi arrivati affrontano la realtà

E i costruttori tradizionali, da questo punto di vista, godono di un vantaggio fondamentale e non eludibile.

Lo scorso hanno avevamo già pubblicato la rassegna dei costruttori (quasi tutti ‘newcomer’) alle prese con le prime spine. Tra questi, già non figurava Arrival, azienda britannica che nell’immediato post-Covid aveva cercato di rivoluzionare l’ultimo miglio, immaginando non solo di progettare van elettrici costruiti con materiali innovativi e più sostenibili, ma di assemblarli in micro-fabbriche diffuse per l’Europa, quasi on-demand, con sistemi altamente automatizzati.

arrival

Quel progetto è durato ben poco, forse a causa della scarsa fiducia degli investitori, i quali ben presto avevano chiuso i cordoni della borsa. Qualche mese dopo la fine dell’avventura di Arrival, un altro costruttore di van, questa volta americano, Canoo, si era accaparrato gli asset produttivi della defunta concorrente al 20 per cento del loro valore effettivo, come dichiarato proprio da Canoo. Parliamo di robot, sistemi di assemblaggio e verniciatura, attrezzature per il controllo e la verifica dei materiali.

Era il marzo 2024 e certo non si poteva immaginare che meno di un anno dopo l’azienda americana avrebbe chiuso i battenti: l’interesse mostrato da colossi come Walmart, Us Postal e addirittura dalla Nasa non è bastato, forse anche a causa delle stravaganze del chiacchierato fondatore Tony Aquila, accusato anche di utilizzare i fondi di Canoo come rimborso per i suoi spostamenti in jet privato.

Storie torbide di manager non sempre specchiati, proprio come il primo Ceo di Nikola, Trevor Milton, condannato alla fine del 2023 a quattro anni di carcere per frode (mentì sullo sviluppo tecnologico dei suoi truck). E anche se Nikola è riuscita a sopravvivere ai guai del suo fondatore e anche alla rottura dell’alleanza con Iveco, nel 2023, non ha certo trovato stabilità.

Quando duecento camion non bastano

Il costruttore di Phoenix, Arizona, ha dovuto far fronte al richiamo dei camion elettrici immessi sul mercato per risolverne i problemi tecnici e si è nel tempo concentrato soprattutto sulla variante a celle a combustibile a idrogeno, cercando di creare anche un ecosistema comprendente, per esempio, le stazioni di rifornimento attraverso il marchio Hyla. Pur vendendo, nei primi nove mesi del 2024, 200 camion a idrogeno, Nikola non ha coperto i costi, visto che, proprio in questi giorni, ha dichiarato fallimento. E, dalla fine di marzo, se non ci saranno colpi di scena, chiuderà i battenti.

La conclamata crisi dell’idrogeno, per niente competitivo al momento e privo della necessaria infrastruttura di rifornimento, ha fatto altre vittime. La tedesca Quantron appariva più solida di altre aziende per via del gruppo controllante, Haller, attivo nell’automotive da oltre cento anni. Nata come specialista in retrofit di veicoli leggeri e pesanti, Quantron si è dotata da subito di un attrezzato reparto di design, il cui primo risultato è stato il pesante Qhm Aero su base Man Tgx, naturalmente a idrogeno. Ma l’eccessiva fiducia nel mercato dell’idrogeno e alcune non chiare vicende societarie hanno fatto rapidamente precipitare la situazione, con l’azienda dichiarata insolvente lo scorso autunno. Con buona pace degli ambiziosi piani di sviluppo, che hanno riguardato anche l’Italia.

quantron italy

L’idrogeno, poi, ha scottato anche i ‘grandi’ come Renault. Il costruttore francese ha promosso all’inizio del decennio la joint venture Hyvia con Plug power. Obiettivo: immettere sul mercato i suoi van alimentati con celle a combustibile. Anche in questo caso, piani ambiziosi e prototipi a ogni fiera, fino alla pietra tombale al progetto nelle parole del Ceo Luca de Meo, arresosi al fatto che «attualmente, non si vede un mercato per l’idrogeno».

Le difficoltà di questo vettore, che rappresenta ancora la speranza per decarbonizzare il trasporto pesante nel medio-lungo termine, si sono riversate a cascata anche sui costruttori di componenti chiave, come le celle a combustibile.

Le celle a combustibile hanno fatto fiasco

Tra i più noti specialisti al mondo, i canadesi di Ballard (investitori nel progetto Quantron) stanno rivedendo al ribasso i propri piani di sviluppo, riducendo la forza lavoro e puntando più su altri settori, come il ferroviario, piuttosto che sul trasporto stradale.

Chi pare destinata al fallimento è invece Hyzon, azienda specializzata nel retrofit di camion verso l’idrogeno. Cuore negli Usa ma più di un piede in Europa, precisamente in Olanda, che, dopo le prime difficoltà, ha comunicato nell’estate 2024 di volersi concentrare sul Nordamerica e sulla produzione di celle a combustibile. Ma le dimissioni del Ceo, Parker Meeks, suonano come il de profundis: sembra che la liquidità non basti per traghettare Hyzon oltre il mese di febbraio.

hyzon-fuel-cell.j

Dall’autunno scorso, chi cerca su Google i contatti di Tevva, costruttore britannico di truck medi elettrici con sguardo sull’Europa, trova la dicitura ‘chiuso definitivamente’. Il progetto ce lo aveva raccontato il fondatore Asher Bennett: costruire camion elettrici, all’inizio per la distribuzione urbana e regionale, dotandoli di ‘range extender’ alimentato a idrogeno. Non si è andati oltre la costruzione di alcuni prototipi e ai test, al tempo definiti di successo, con un numero limitato di potenziali clienti nel Regno Unito.

Chi ha le spalle ben più coperte, al contrario, è Tesla, che vola grazie all’enorme potere di cui gode il fondatore Elon Musk ma deve però fare i conti con un Donald Trump non proprio tenero nei confronti della mobilità elettrica. Sappiamo come Tesla centellini le informazioni sui suoi progetti, ma il silenzio che circonda le sorti del camion elettrici Semi, visto per la prima volta in Europa alla Iaa Transportation 2024, non è confortante.

Insomma, i nuovi arrivati non hanno vita facile. L’impresa di approcciare il mercato è difficile, certo, ma non impossibile. ne è un esempio la vicenda di Volta Trucks. Prima il clamoroso fallimento in Europa nell’ottobre 2023 dovuto principalmente alle questioni legate alla supply chain e alla volontà degli investitori.

L’araba fenice può tornare a volare

Dopo il patatrac, però, uno zoccolo duro all’interno di Volta non ha mollato e ha dato vita al progetto ‘araba fenice’. Un anno e mezzo dopo, con il prodotto rivisto, la strategia meno altisonante e più concreta e anche la struttura aziendale molto più snella rispetto al passato, Volta Trucks 2.0 è pronta a sfidare nuovamente il destino e, soprattutto, il mercato.



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