Stritolato dalla fiscalità, l’autotrasporto delocalizza
Negli ultimi sette anni l’Italia ha perso 1,7 miliardi all’anno per il calo delle immatricolazioni di veicoli sopra le 3,5 tonnellate, e quasi 150 mila autisti hanno perso il posto di lavoro. Nel frattempo siamo scesi al 21° posto nella classifica della performance logistica, facendo meglio della sola Spagna tra i Paesi del G 5, […]
Negli ultimi sette anni l’Italia ha perso 1,7 miliardi all’anno per il calo delle immatricolazioni di veicoli sopra le 3,5 tonnellate, e quasi 150 mila autisti hanno perso il posto di lavoro. Nel frattempo siamo scesi al 21° posto nella classifica della performance logistica, facendo meglio della sola Spagna tra i Paesi del G 5, e è cresciuta la delocalizzazione, raddoppiando in soli tre anni la percentuale di aziende che hanno almeno una filiale all’estero (dal 5 per cento del 2013 al 10 del 2016).
Sono i risultati dell’analisi presentata dal Gipa (Automotive aftermarket intelligence) nel corso della conferenza stampa Unrae dello scorso novembre. Basata su molti panel tra cui, di particolare interesse, la struttura del salario medio dell’autista. Sono infatti i costi di gestione (carburante, manutenzione) il primo motivo che spinge le aziende a delocalizzare (23 per cento). A seguire, via via, le normative del lavoro (15), la pressione fiscale (12), le difficoltà burocratiche (7) e l’accesso al credito (4).
Così, dal 2010 in poi ma con una forte concentrazione nel biennio 2012-2013 (il 37 per cento), si sono aperte filiali all’estero, soprattutto in Romania, Polonia, Bulgaria e Slovenia, ma anche in Francia e Germania. Paesi dove mediamente la pressione fiscale viene percepita come la metà di quella italiana.