Thomas Hilse, ventidue anni di esperienza nel mondo truck in tutto il mondo, dal 1° novembre 2019 Brand President Iveco, fa il punto. Questo, dopo un inizio d’anno durissimo, con la pandemia Covid-19 che ha tagliato parecchi punti di Pil, non solo in Italia, mentre emergono nuove tendenze nelle filiere produttive, nella distribuzione dei magazzini e nel trasporto delle merci.

Un processo che interessa anche Iveco? «Il Covid-19 produrrà effetti a breve termine, ma la nostra strategia non ne ha risentito».

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La completa soddisfazione del cliente è al centro delle strategia Iveco: parola di Thomas Hilse

«Siamo orientati alla completa soddisfazione del cliente. Rinnovato il portafoglio prodotti con il lancio l’anno scorso di New Daily e S-Way, cui seguirà quest’anno il T-Way, abbiamo completamente aggiornato i nostri servizi di connettività e la rete di assistenza per i camion pesanti in Europa. La crescita della nostra quota di mercato dice che abbiamo intrapreso la strada giusta.

Secondo elemento della nostra strategia è lo spin-off delle attività di Iveco e di Fpt Industrial dal Gruppo Cnh Industrial. Questo ha subito un rallentamento causa Covid, ma l’obiettivo non cambia. Nel processo di produzione non vedo alcun cambiamento a breve termine.

Anche se l’impatto del Covid-19 sulla catena di fornitura è stato drammatico, oggi procediamo senza intoppi. Merito anche dei nostri partner.

Poi, ci sono tendenze che faranno la differenza in futuro. Gli acquisti online avranno un impatto sulla logistica che andrà efficientata, puntando sulla connettività per contenere i costi. In tutto ciò, mi ritengo fortunato del lancio dell’S-Way l’anno scorso, prima del Covid, perché ora siamo pronti a tutte le richieste dei clienti».

Iveco, pur avendo il suo baricentro nel Continente europeo, non ha una quota di penetrazione sufficiente. Si è parlato di possibili sinergie con altri costruttori.

«Siamo il quinto costruttore in Europa, siamo America Latina, in Africa, in Medio Oriente e abbiamo una partnership di successo in Cina, dove i nostri camion sono venduti su licenza da Naveco.

Siamo leader in Europa tra i medi e al secondo posto negli autobus. Ma è vero che i cambiamenti tecnici necessari nei prossimi dieci anni per soddisfare le norme Ue e l’obiettivo zero emissioni entro il 2050 richiedono molti investimenti in tecnologia.

Servono collaborazioni. E abbiamo scelto una forma unica nel suo genere investendo in una startup, Nikola. Scelta che ha avuto un’incredibile risposta da parte del mercato in termini di valore. Questo dimostra che la strategia è quella giusta.

Iveco ha dimostrato, in tutta la sua storia, sin dalla fondazione nel 1975, di avere un team internazionale, che può cooperare. Un buon punto di partenza per il futuro ».

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Entro il 2030 ci sarà la rete per l’idrogeno

La joint con Nikola vi ha proiettato nel futuro dell’idrogeno. Pensate veramente che si possa creare un sistema di distributori europeo in grado di supportare i veicoli fuel-cell?

«Risposta pre-Covid: assolutamente sì. Pensate alla tecnologia Lng. Iveco è stata la prima a introdurla e ora è diventata mainstream. Siamo passati da zero stazioni a 270 e, probabilmente, entro il prossimo anno, arriveremo a 400.

Risposta post-Covid: ancora di più. Perché i governi accelerano sulle nuove tecnologie. Quello tedesco ha deciso di investire 7 miliardi di euro nell’idrogeno, candidando così la Germania a leader in Europa. E Iveco produce i Nikola a idrogeno a Ulm.

Oltre al sostegno da parte del Governo tedesco, il nostro capitale ingegneristico per i pesanti si troverà al centro della rete di fornitori europei dell’idrogeno. Dei 7 miliardi, 3,4 andranno nella rete di rifornimento.

Ma non basta aspettare che il Governo costruisca i distributori, si deve pensare in modo diverso, come nel caso di Iveco con l’Lng. Dovremmo agire con la logica dei funghi, partendo da piccole sacche di idrogeno create dalle industrie collegandole poi tra loro, e qui entra in gioco il Governo.

Dopo l’annuncio di Nikola c’è stato molto interesse da parte dei clienti, anche da chi non ha mai acquistato un Iveco. Hanno detto ‘vogliamo lavorare con voi’, ‘vogliamo creare piccoli hub di idrogeno’. In Europa si sta quindi sviluppando un ‘sistema di funghi’, ma senza aspettare l’idrogeno verde, partendo invece da quello blu, prodotto col metano.

E sono convinto che nel 2030 avremo l’infrastruttura. Sapendo che l’obiettivo finale è la decarbonizzazione. C’è un solo Pianeta, non c’è un Pianeta B».

Il treno dell’Lng è ormai inarrestabile

Visti i tempi dell’idrogeno, il gas sembra l’unico in grado di dare risposte immediate, anche se a molti non piace perché è fossile e ci sono anche diversi studi che ne minano alla base la sostenibilità.

Dovendo anche combattere contro i costruttori tedeschi, Man e Mercedes, che non credono al gas, con quali armi pensate di sfondare in Europa?

«Non temiamo Man e Mercedes, semmai devono essere loro a temerci. Perché il treno dell’Lng è inarrestabile. L’evoluzione delle bioenergie è infatti molto più veloce di quanto previsto un paio di anni fa.

Per i nostri clienti che vogliono guidare a zero emissioni fin da ora l’idrogeno non è ancora pronto. Ma c’è invece il Bio-Lng. Grandi compagnie petrolifere come Shell hanno impresso un’accelerazione annunciando il mix col 30 per cento di Bio-Lng. Così da incrementare il 10% di risparmio di CO2, fisiologico rispetto al diesel, arrivando forse a un taglio del 35%.

Nel corso dei prossimi due anni il Bio-Lng sarà disponibile e Iveco sostiene chi lavora per realizzare infrastrutture in tutta Europa. Alcuni concorrenti sono molto preoccupati, perché sono consapevoli dei vantaggi tecnologici e dei clienti che si rivolgono a noi anche per questo.

In futuro non potrà più dominare una sola tecnologia, il diesel. Si sceglierà in base alla missione specifica: elettrico per i servizi light-duty e per alcune applicazioni medium-duty, poi Bio-Lng e, infine, l’idrogeno. I costruttori dovranno offrire nel 2030 la tecnologia giusta per ogni missione. È la sfida. Iveco è convinta di doversi impegnare in tutte e tre le tecnologie».

Le vendite di veicoli elettrici sono zero nei truck, mentre nei van qualcosa si muove. Il Daily Electric è stato un precursore precursore ma adesso si è in attesa della nuova versione con batterie agli ioni di litio. Ci saranno travasi di tecnologia con Nikola piuttosto che con Psa?

«Nei commerciali ci sono elettrico e metano, a condurci verso il futuro a zero emissioni. Iveco li ha entrambi. Lanceremo il nuovo Daily elettrico entro la fine del prossimo anno. Abbiamo avuto qualche rallentamento causa Covid, ma il Daily elettrico sarà competitivo e rafforzerà la nostra strategia ‘flessibile’.

Fpt fornirà le batterie agli ioni di litio e i primi test con i clienti al momento offrono ottimi riscontri. Se per l’auto l’elettrico è una scelta, per i van il passaggio avverrà in seguito alle restrizioni alla circolazione. Le prime a entrare in vigore saranno in città, dove sarà impossibile entrare con i diesel.

E sarà in tutta Europa, da Amsterdam a Oslo a Londra e così via, intorno al 2024. Nel 2025 l’Ue chiederà ai costruttori di ridurre drasticamente le emissioni di CO2, quindi i commerciali elettrici prenderanno slancio dal 2024 e, a quel tempo, avremo un veicolo collaudato sulla strada. E qui non abbiamo quindi bisogno di partnership».

IVECO: tre strade per arrivare alle emissioni zero

La sfida più complicata è quella del taglio della CO2 imposto dalla Commissione Ue, del 15 per cento entro il 2025 e del 30 per cento entro il 2030, come intende muoversi Iveco su questo fronte?

«Come detto, è necessario offrire ai clienti diverse tecnologie per una strategia a zero emissioni. Fino al 2030 probabilmente avremo ancora bisogno di un diesel efficiente, quindi ci sarà un altro passo in avanti nella sua evoluzione.

Alcune missioni passeranno alla propulsione alternativa molto prima di altre, ma il diesel rimarrà in circolazione, dopo di che lavoreremo su elettrico, Lng e Bio-Lng, idrogeno. Non si può raggiungere l’obiettivo con una sola tecnologia.

Oggi è facile, tutti conoscono il prezzo del diesel, ma in futuro dovremo guardare ai prezzi di elettricità, metano e idrogeno. L’economia del camion diventerà più complicata, ma non esiste una strada sola che porti alle emissioni zero, di strade ne esistono tre».

Dati i target di emissioni e l’attuale Cx poco modificabile, il camion del futuro potrà avere nuove forme e dimensioni, vale a dire non più con la classica cabina a cubo, ma un muso stile conventional Usa?

«Superato il diesel, il camion del futuro non avrà più bisogno di spazio in cabina per ospitare il motore, relativamente ingombrante. Quando ci avvicineremo alle emissioni zero, assisteremo alla nascita di una nuova generazione di camion.

Visti i regolamenti europei e i limiti di lunghezza, non replicheremo le soluzioni americane. La soluzione europea sarà orientata a un nuovo design del camion dettato dall’erodinamica, ma il progetto credo sia ancora lontano e non lo vedremo nel prossimo futuro».

Parliamo di guida autonoma. È davvero la nuova frontiera dei camion?

«Anche qui ci sono due mondi, quello pre-Covid e il post-Covid. Nel primo c’era fermento. Case automobilistiche e costruttori di camion sono stati insidiati da player come Google, che fanno forza della loro immagine e del vantaggio tecnologico, e hanno investito molto nella guida autonoma.

Ma nel post Covid si deve guardare esattamente come investire nelle nuove tecnologie. Sempre meno produttori investono nella guida autonoma perché l’accelerazione del Covid è verso le emissioni zero. Poi, sono ancora tante le decisioni da prendere dai punti di vista legale e etico, mentre la gestione del camion in ambiente urbano resta molto complessa.

Credo che le priorità siano cambiate e che la guida autonoma arriverà in un secondo momento, intesa però come commodity. Sarà qualcosa che tutti a un certo punto avranno e che non comporterà differenziazione nella competitività».

Maurizio Cervetto

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