Intervista a Paolo Starace, ad DAF Trucks: “Nei consumi farà la differenza la cabina”
Costruttore famoso per l’affidabilità più che per la capacità innovativa, DAF nel 2018 ha compiuto novant’anni e, come regalo di compleanno, si è fatto ben due prototipi diversi di trattori XF ibridi. A differenza dell’LF ibrido del 2006 poi scomparso dalla scena, stavolta si è dato seguito al progetto e, subito dopo, è stato presentato […]
Costruttore famoso per l’affidabilità più che per la capacità innovativa, DAF nel 2018 ha compiuto novant’anni e, come regalo di compleanno, si è fatto ben due prototipi diversi di trattori XF ibridi. A differenza dell’LF ibrido del 2006 poi scomparso dalla scena, stavolta si è dato seguito al progetto e, subito dopo, è stato presentato il trattore CF full-electric di cui oggi ben tre esemplari stanno facendo test con la Gdo olandese, insieme a un quarto CF Hybrid.
«Sono i trattori CF full-electric da 285 cavalli con cento chilometri di autonomia e CF Hybrid 449 (diesel) più 102 (elettrico) cavalli che può fare da 30 a 50 chilometri in modalità zero emission. Che girano a Eindhoven perché la prossimità alla fabbrica aiuta meglio a capire le dinamiche e a far tornare alla base in autonomia e non col veicolo sul carrellone», spiega Paolo Starace, dal Duemila in DAF, prima come Credit and Dealer Development Manager, poi come capo del Financial Service e dall’aprile 2011 Amministratore Delegato della filiale italiana.
Le colonnine sono dedicate e i trailer come sono allestiti?
«Per le colonnine abbiamo una partnership con VDL, con cui abbiamo realizzato il CF full-electric. Perché insieme al veicolo devi offrire anche il sistema di ricarica. E gli attacchi sono standard. I trailer sono frigoriferi con gruppo autonomo classico. Credo però sarà inevitabile andare verso un tutto elettrico. Si dovranno trovare soluzioni integrate e standard, soprattutto se sarà richiesto al veicolo un apporto energetico».
Negli Usa l’LF elettrico ha il marchio Peterbilt
Si può pensare che il prototipo Peterbilt 220 EV, che ha debuttato a gennaio al CES di Las Vegas, sia il primo passo verso l’LF elettrico?
«Sul Peterbilt 220 EV in effetti c’è la cabina LF. È un altro esempio di come Paccar ha capacità di intercettare i trend. Ma il mercato attualmente non esiste. C’è interesse, ma quando si comincia a parlare di tara che aumenta e di scarsa autonomia (cento chilometri), si alza una barriera. Il conto economico su questi veicoli ora non c’è. Qualcuno si fregia del veicolo elettrico, ma si è ben lungi dal poter convertire una flotta. Al massimo, si arriva al 2-3 per cento di veicoli green. Anche perché dovresti avere una centrale elettrica dentro l’azienda per poter ricaricare cento veicoli».
Se l’ elettrico è ancora lontano, il gas invece sembrerebbe essere un’ alternativa praticabile.
«DAF non crede nel gas e non è l’unica. Perché c’è un’incoerenza di fondo. Se pensiamo che un carburante di origine fossile sia la soluzione per l’ambiente ci stiamo illudendo. La vera tecnologia disruptive, quella che cambierebbe il paradigma nella mobilità, è l’idrogeno. Ma, c’è solo qualche esperimento».
Però il gas è incentivato non solo in Italia, anche in Germania, e al Brennero passeranno di notte solo gli Lng a partire da settembre 2020.
«Potrebbe essere una tecnologia di transizione. Del resto, anche le dichiarazioni del nuovo presidente Iveco, Gerrit Marx, sembrano un piccolo passo indietro. Quando oltre il 95 per cento delle vendite è diesel devi tenerne conto. Ben vengano tutte le tecnologie che abbassano le emissioni. Però, allora, sarebbe meglio l’Hvo (Hidrogenated Vegetable Oil, l’olio vegetale idrotrattato), combustibile che già oggi tutti i nostri motori sono in grado di digerire, che ha impatto sull’ambiente davvero basso».
C’è un’area di sviluppo nel settore carri
A proposito di vendite, il 2019 è partito male, con una flessione dell’11,4 per cento del mercato sopra le 3,5 ton e con un crollo dei trattori del 21,4 per cento.
«Veniamo da un 2018 straordinario. DAF è cresciuta nello share, siamo tornati a essere primi nei trattori stradali in Europa. Mercato dove nei primi due mesi c’è stata una crescita e DAF ha migliorato ancora il suo share. Come quota mercato possiamo dire la stessa cosa in Italia, non certo per i numeri assoluti. La flessione preoccupa, perché appena non si rinnova il super ammortamento, appena si affaccia lo spauracchio della crisi, l’Italia mostra tutte le sue debolezze».
Però nei carri, che rappresentano circa il 40 per cento delle immatricolazioni, c’ è stato addirittura un più 3,3 per cento.
«Visti i risultati nei trattori, abbiamo individuato nei carri l’area di sviluppo. Però, ci vogliono competenze diverse: cambiano il cliente, le esigenze, il tipo di trasporto, regionale, si rimane quindi nell’orbita del concessionario che l’ha venduto. Il ciclo di vita in azienda è più lungo».
Quindi, farete interventi sulla rete dei concessionari?
«Faremo formazione. Tecnica e di profilazione del cliente. Poi, c’è il discorso allestitori. A volte, la scelta del telaio è persino secondaria. Serve stringere collaborazioni forti, non solo business ma anche come conoscenza del prodotto. Perché capita che chi scopre DAF resti sorpreso dalla facilità di lavorare sui nostri telai. Faremo eventi specifici per gli allestitori con i concessionari, li inviteremo anche a Eindhoven, faremo delle demo in rete. In Germania ci sono i tempi di allestimento nel nostro sito. Stiamo pensando di farlo anche in Italia. Dobbiamo accorciarli di molto. Oggi, anche allestitori strutturati sono già a settembre-ottobre con le consegne. Vuol dire che a marzo, con i carri, hai già finito l’anno. Mentre il cliente non è più disposto ad aspettare 6-8 mesi. In Germania il trailer è un’industria con tempi simili al truck. Faremo accordi con alcuni allestitori in modo da ridurre i tempi di consegna a uno-due mesi».
Ci ha pensato la Ue a mettere paletti forti
Sostenibilità è la parola più usata in questo momento. Come risponde DAF a questa sfida che, oltre ai motori alternativi, coinvolge sicurezza e impatto ‘sociale’ dei veicoli pesanti?
«Dobbiamo capire cosa si intende per sostenibilità. Fino a che punto vogliamo allargarci. Ci possiamo fermare alle emissioni oppure andare oltre. Nelle nostre fabbriche si recuperano energia e acqua e sui camion si usano materiali per ridurre l’impatto ambientale. Sul fronte sicurezza abbiamo quello che serve, niente di più. Poi, ci sono le versioni Silent sull’11 litri. Anche se nei capitolati d’appalto l’inquinamento acustico viene poco considerato. Sulle emissioni la Commissione Ue ha messo dei paletti importanti. È un perimetro chiaro entro cui tutti dovremo muoverci».
Già, diminuire le emissioni di CO2 dei truck del 15 per cento entro il 2025 e del 30 per cento nel 2030. Uno stimolo verso l’ibrido?
«Anche. Ma la questione dirimente sarà la forma del camion. Così com’è ora non si può abbattere il Cx in modo sensibile. A breve la Commissione si pronuncerà sulle dimensioni, l’auspicio è che le rivedano per cambiare le cabine. E credo che tra 5-10 anni i camion futuribili diventeranno realtà. Se non si interviene sull’aerodinamica e sullo stile di guida dell’autista, sarà difficile centrare quei limiti. Con le nuove cabine, non escludo che i costruttori di piccola taglia decidano di smettere di investire, come è accaduto per i motori Euro 6, comprandole da altri. DAF, che non è mai stato un first mover, è in attesa. Se ci sarà il via libera, tutti i costruttori si dovranno lanciare in quella direzione. E chi fa una cabina nuova adesso rischia. Perché lo sviluppo è sui 10-15 anni. E il 2025 è dietro l’angolo».