I camion hanno trasportato il coronavirus in autostrada? Sì, secondo due studiosi italiani
Il coronavirus ha viaggiato per le autostrade e le grandi direttrici di comunicazione italiane, “spostandosi” soprattutto attraverso camion e tir, gli unici mezzi che dopo i Dpcm di marzo hanno potuto proseguire a circolare senza grandi limitazioni, rispetto alle altre classi di veicoli. È quanto emerge da due studi, uno pubblicato e l’altro in corso […]
Il coronavirus ha viaggiato per le autostrade e le grandi direttrici di comunicazione italiane, “spostandosi” soprattutto attraverso camion e tir, gli unici mezzi che dopo i Dpcm di marzo hanno potuto proseguire a circolare senza grandi limitazioni, rispetto alle altre classi di veicoli. È quanto emerge da due studi, uno pubblicato e l’altro in corso di pubblicazione nei prossimi giorni. Il primo è stato scritto da Giovanni Sebastiani, ricercatore dell’Istituto per le applicazioni del calcolo «Mauro Picone» del Cnr ed è comparso sul sito ScienzaInRete, uno dei più prestigiosi giornali di divulgazione scientifica online; il secondo invece è stato scritto da Marino Gatto, del Politecnico di Milano, insieme a studiosi provenienti da altre università italiane (Università Ca’ Foscari di Venezia e Università di Padova) insieme all’Università di Zurigo e al Politecnico federale di Losanna.
Camion e autostrade vettori del contagio
Nell’intervista che ha rilasciato al Corriere della Sera Giovanni Sebastiani, parlando dello studio che ha condotto presso il Cnr, osserva come tutte le province più colpite dal coronavirus si trovino nei pressi di quattro direttive internazionali, ovvero alcune delle più importanti e trafficate autostrade del nostro Paese: l’A4 Torino-Venezia, l’A1 da Milano a Napoli ma anche due direttrici più brevi, ma non meno congestionate come l’A22 Modena-Bolzano e l’A14 da Bologna ad Ancona.
A dimostrazione di ciò basta osservare che il 5 aprile solo le province di Piacenza e Cremona superavano l’1% dei contagiati sul totale della popolazione. Il capoluogo emiliano si trova infatti nell’intersezione tra l’A1 e l’21 (strade europee E35 e E70). La zona del cremonese dista soli 40 chilometri dal piacentino, quindi non lontano dall’E70. Secondo Sebastiani non è casuale che alcune delle zone in cui i contagi sono stati così alti siano posizionate proprio lungo arterie così trafficate.
Distribuzione spaziale ed evoluzione temporale collegate dalle direttive autostradali
Lo studio si sofferma poi sulle distribuzioni spaziali dei contagi nelle province più colpite dal 6 al 25 marzo: “seppure si siano aggiunte delle province, esiste un nucleo di province comune a tutte e cinque le date, che contiene quelle di Piacenza e Cremona. Questo nucleo di province presenta per costruzione un’evoluzione dell’epidemia rappresentativa di quella su scala nazionale”. Tra queste, sottolinea Sebastiani, si trovano Milano, Venezia e Pesaro, distanti tra loro di centinaia di chilometri ma unite dalle direttive autostradali in questione.
Secondo Sebastiani il coronavirus “probabilmente si è spostato col traffico degli autotrasportatori (camion e tir) e sarebbe interessante verificare la frequenza dei contagi in questa categoria”. Stando alle sue affermazione le probabilità che l’agente patogeno si sia diffuso in maniera così cospicua attraverso le automobili private è molto bassa.
Le differenze tra Nord, Centro e Sud
Anche lo studio di Marino Gatto ha messo in correlazione la distribuzione geografica dei contagi con l’evoluzione temporale dell’infezione, integrando gli spostamenti degli individui per raggiungere i luoghi di lavoro con le limitazioni adottate di provincia in provincia. Anche qui emerge che il coronavirus potrebbe essersi spostato velocemente su autostrade e ferrovie, con camion e tir, dagli snodi a raggiera della Lombardia, passando per la Via Emilia e proseguendo in Toscana nei collegamenti dalla parte della Liguria. Lo sviluppo meno aggressivo dei contagi nel Meridione potrebbe essere imputato proprio al minore sviluppo infrastrutturale.
Gatto sostiene che “il maggiore focolaio si è sviluppato in Lombardia, che non a caso è tra le regioni meglio connesse col resto d’Italia e del mondo. Nella Pianura Padana, dove le vie di trasporto sono a raggiera, il virus si è diffuso delineando cerchi concentrici via via più larghi. In un secondo momento si è propagato in Veneto ed Emilia Romagna, prendendo la via Emilia per scendere verso le Marche”. Gli appennini avrebbero fatto da “tappo”: la propagazione dei contagi in Toscana sarebbe avvenuta sulle direttiva che collegano La Spezia a Lucca, Firenze e Siena.