Distacco all’estero, quella norma non vale un’acca. Si attende un provvedimento ad hoc
Dopo la maratona notturna del 23 ottobre in Lussemburgo, c’è accordo sulla riforma della direttiva Ue sui lavoratori distaccati all’estero. Una vittoria del Presidente francese, Emmanuel Macron, che del cambio di rotta in sede Ue per questo pacchetto aveva fatto uno dei punti forti della sua campagna elettorale. Europa dell’Ovest vs Europa dell’Est Aggiornamento chiesto […]
Dopo la maratona notturna del 23 ottobre in Lussemburgo, c’è accordo sulla riforma della direttiva Ue sui lavoratori distaccati all’estero. Una vittoria del Presidente francese, Emmanuel Macron, che del cambio di rotta in sede Ue per questo pacchetto aveva fatto uno dei punti forti della sua campagna elettorale.
Europa dell’Ovest vs Europa dell’Est
Aggiornamento chiesto dall’Ue-Ovest, con Francia, Italia e Germania in prima fila, per contenere il dumping sociale dell’Ue-Est, con Polonia, Lettonia e Ungheria quali capofila. E che taglia i tempi del distacco del lavoratore a 12 mesi (la Commissione Ue ne aveva chiesti 24) con proroga di sei mesi, se autorizzata dal Paese ospitante. In più, non dovrà essere versata la paga minima sindacale del Paese in cui lavora, compresa tredicesima, premi d’anzianità, eccetera.
Dura la battaglia al momento del voto. Con Gran Bretagna, Irlanda e Croazia ambiguamente astenute. Mentre hanno votato contro Polonia, Ungheria, Lettonia e Lituania. A sorpresa, hanno votato sì Romania, Bulgaria, Slovacchia e Cechia. Oltre alla Spagna che finora si era opposta, reclamando un pacchetto di ‘eccezioni’ a favore dell’autotrasporto.
Per l’autotrasporto un provvedimento ad hoc?
Rotto il fronte dell’Est, tutto a posto? Non proprio, perché c’è un codicillo che esclude dalla norma l’autotrasporto. Vittoria di Pirro, hanno perciò commentato le associazioni di categoria, prima tra tutte la francese Otre che minaccia scioperi. In realtà, il camion continua a usare le norme attuali. E l’accordo di Lussemburgo prevede a breve un provvedimento ad hoc di maggiore dettaglio (come chiede la Spagna) che, invece di entrare in vigore nel 2022, sarebbe operativo in tempi più brevi. Ma soprattutto, la rottura del cartello tra i Paesi dell’Est potrebbe offrire agli altri, come l’Italia, migliori carte da giocare per mettere un freno definitivo al dumping sociale praticato ormai apertamente da Polonia e Ungheria.