Committenti e imprese, il problema sta nell’intermediazione
È uno degli argomenti che torna periodicamente nelle rivendicazioni delle associazioni dell’autotrasporto: la lotta contro la cosiddetta ‘intermediazione parassitaria’. Ovvero, i bagarini del settore che prendono il lavoro dai committenti e lo distribuiscono ai trasportatori, dopo essersi trattenuti una lauta percentuale. Quel di cui non si è ancora parlato è che il ruolo dell’intermediazione nel settore è […]
È uno degli argomenti che torna periodicamente nelle rivendicazioni delle associazioni dell’autotrasporto: la lotta contro la cosiddetta ‘intermediazione parassitaria’. Ovvero, i bagarini del settore che prendono il lavoro dai committenti e lo distribuiscono ai trasportatori, dopo essersi trattenuti una lauta percentuale. Quel di cui non si è ancora parlato è che il ruolo dell’intermediazione nel settore è uscito rafforzato dagli anni della crisi. Quanto lauta sia la percentuale, molto variabile a seconda delle realtà ma sempre letale per le casse delle aziende, lo dice un recente fatto di cronaca che viene da Taranto, nel mondo dell’indotto delle acciaierie ex Ilva ora Arcelor Mittal.
Il nuovo proprietario Arcelor Mittal, appunto, pretende la riduzione delle tariffe dell’autotrasporto del 5 per cento, causa ‘la crisi dell’acciaio in Europa’ e la riduzione delle commesse in campo automobilistico, industriale e delle costruzioni. Lo rivela l’associazione Sna Casartigiani Taranto, precisando che la richiesta è giunta improvvisamente ad agosto, senza alcuna trattativa con le associazioni del trasporto e della logistica.
Da anni, aggiunge l’associazione, gli autotrasportatori operano con tariffe che «non rispecchiano i costi sostenuti», anche perché ci sono intermediari che applicano provvigioni che variano dal 4 al 18 per cento, e ciò «porterebbe a viaggiare con tariffe alla fame, che non consentono di rispettare i costi minimi per garantire la sicurezza dei mezzi e le paghe contrattuali».
Pochi soggetti committenti con forza contrattuale enorme
Percentuali pesanti, quindi. Ma quel che è peggio, il fenomeno si è accentuato negli ultimi anni, come spiega il segretario generale di Assotir, Claudio Donati: «Nel corso della crisi post 2008, tra il 2012 e il 2013 si è prodotta una scomposizione e ricomposizione non solo delle imprese di autotrasporto, che sono diminuite per numero e leggermente rafforzate a livello strutturale, ma soprattutto del sistema organizzativo dei committenti. Se guardiamo la Gdo, i player a livello nazionale oggi sono solo quattro o cinque. Lo stesso nei container, nazionali o anche internazionali, così come per molti altri settori».
Si è così accentuata la sproporzione tra committenti e autotrasportatori, con conseguenze nefaste per la parte più debole. «Il mercato è in mano a pochi soggetti che hanno una forza contrattuale enorme, rispetto a cui l’autotrasportatore non ha proprio forza contrattuale, ed è quindi costretto ad accettare le condizioni imposte».
Ma a fare da intermediari non sono soltanto realtà esterne, spesso sono le stesse aziende di autotrasporto. «Tale concentrazione della committenza sta producendo un fenomeno di cui si parla poco, ma è piuttosto allarmante. Anche i grossi vettori, italiani e non solo, tendono sempre di più a sviluppare funzioni e attività logistiche e a terziarizzare la vezione. Non comprano camion ma danno il lavoro in subappalto a chi ce li ha. Quindi, il mercato dell’autotrasporto, rispetto a quanto avveniva prima della crisi, ha assunto la caratteristica di essere un lavoro sostanzialmente in subappalto, poco remunerato, in cui c’è un margine anomalo per l’intermediazione a scapito di chi il trasporto lo fa davvero.
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