Col tachigrafo si va in galera; rei i datori di lavoro
È un processo che potrebbe fare epoca, quello concluso il 19 dicembre scorso, presso il Tribunale di Milano, con una condanna a due anni di carcere comminata ai titolari di un’azienda di trasporto lombarda che hanno costretto sistematicamente alcuni loro autisti a violare le norme sui tempi di guida/riposo e a manomettere i tachigrafi. Condanna […]
È un processo che potrebbe fare epoca, quello concluso il 19 dicembre scorso, presso il Tribunale di Milano, con una condanna a due anni di carcere comminata ai titolari di un’azienda di trasporto lombarda che hanno costretto sistematicamente alcuni loro autisti a violare le norme sui tempi di guida/riposo e a manomettere i tachigrafi.
Condanna che ovviamente è stata sospesa dalla condizionale. Brutta storia che, per di più, sporca il nome di uno storico marchio come la Autotrasporti Vercesi di Pozzuolo Martesana, ma soprattutto ha dato origine a un pronunciamento fondamentale della Corte di Cassazione.
Codice penale sulla sicurezza del lavoro
In un primo momento, infatti, il giudice (Gup) di Milano aveva fatto cadere l’accusa per ciò che riguarda la manomissione del cronotachigrafo affermando che si tratta di un problema che riguarda solo il Codice della
strada e la sua violazione. Dopo il ricorso degli autisti, però, la Cassazione ha dato loro ragione, sancendo che il tachigrafo truccato configura un reato ai sensi dell’articolo 437 del Codice penale sulla sicurezza del lavoro.
Detto che in seguito alla sentenza della Cassazione il processo alla Vercesi è stato diviso in due filoni, la sentenza 47211 della Cassazione fa segnare un salto di qualità nella lotta alle manipolazioni degli strumenti di controllo.
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