Calenzano, un disastro già mezzo dimenticato
In attesa degli esiti delle perizie, commissionate a superesperti del settore (due di loro hanno lavorato al processo per l’attentato di Capaci) e previsti entro febbraio, i video confermano quanto segnalato fin dal primo momento dagli autisti sopravvissuti.
Come ogni fine anno, il dibattito sulla Legge di Bilancio ha di fatto oscurato gran parte delle altre notizie. Così il 20 dicembre, a soli 11 giorni dal disastro al deposito di carburanti di Calenzano (FI) costato la vita a 5 persone (tre dei quali autisti di cisterne), è “passato in fanteria” il comunicato della Procura della Repubblica di Firenze, secondo il quale «una tubazione riposta sulla struttura (delle pensiline) risulta essere priva di bulloni di sicurezza».
Notizia diffusa con il corredo di due video delle telecamere interne al deposito che documentano come il personale della manutenzione stesse lavorando nei pressi dalle cisterne in fase di carico e, pochi secondi prima dell’esplosione, un’abbondante fuoriuscita di liquido abbia portato alla formazione di una densa nube di vapori sul punto di innesco della deflagrazione.
In attesa degli esiti delle perizie, commissionate a superesperti del settore (due di loro hanno lavorato al processo per l’attentato di Capaci) e previsti entro febbraio, i video confermano quanto segnalato fin dal primo momento dagli autisti sopravvissuti. In uno dei depositi di gasolio più grandi d’Italia – 17 ettari di superficie, 24 serbatoi per oltre 150mila tonnellate di oli combustibili, 10 pensiline per le chilolitriche – erano in corso interventi di manutenzione ai sistemi di carico a poca distanza dalle autocisterne in fase di riempimento.
Una scelta all’apparenza incomprensibile e che stride – sottolineano a microfoni spenti gli autotrasportatori – con le rigide prescrizioni di sicurezza cui sono sottoposti gli autisti delle cisterne, per non parlare della lunga formazione sul regime Adr di trasporto di combustibili cui devono sottoporsi. Regole che hanno di certo limitato l’entità del disastro: nonostante l’esplosione delle pensiline, i serbatoi sono rimasti intatti. Ma non hanno impedito che i tre camionisti Vincenzo Martinelli, Carmelo Corso e Davide Baronti, più i due manutentori Gerardo Pepe e Francesco Cirelli perdessero la vita, senza contare i 26 feriti gravi e i danni causati dall’onda d’urto per centinaia di metri intorno all’impianto.