110 miliardi di euro evaporati. 3 milioni di veicoli – tra auto e camion – non prodotti. Milioni di posti di lavoro a rischio. Danni sociali e umani incalcolabili, a cui vanno aggiunti i 100 miliardi di valore della produzioni già persi in questo 2020 terribile, a causa del Covid-19. Questi gli effetti che le associazioni di categoria prevedono sul mondo automotive da qui fin al 2025, qualora Unione Europea e Regno Unito non dovessero giungere ad un accordo sulla Brexit entro le prossime 15 settimane. Ovvero, prima della fine del periodo di transizione, il cui termine ultimo è il prossimo 31 dicembre.

L’appello affinché si giunga ad un piano di libero scambio condiviso è stato portato avanti da 23 delle maggiori sigle del settore a livello europeo. Tra queste, la nostrana ANFIA, l’Associazione Nazionale Filiera Industria Automobilistica.

Brexit

Brexit, senza accordo sarebbe una tragedia nella tragedia

L’obiettivo è scongiurare uno scenario ulteriormente drammatico, che si aggiungerebbe alla crisi già in atto (in un settore che occupa 1 lavoratore su 15, sia un UE che in UK). In questa direzione, tutta la filiera “chiede ai negoziatori di assicurarsi al più presto un accordo senza dazi, con regole di origine moderne e che eviti regolamentazioni diverse al di qua e al di là della Manica”.

Gli effetti di un mancato accordo sulla Brexit andrebbero a riversarsi su un settore che, solo per il nostro Paese, vanta 5.529 imprese con 274.000 addetti (diretti e indiretti). Ovvero, più del 7% degli occupati del settore manifatturiero italiano. Una fetta che vale 105,9 miliardi di Euro di fatturato. Pari all’11% del fatturato della manifattura in Italia e al 6,2% del PIL italiano, con 76,3 miliardi di Euro di prelievo fiscale sulla motorizzazione. Numeri che, proiettati a livello europeo, fanno capire l’entità dei danni e la delicatezza delle trattative.

Hard Brexit ovvero dazi spaventosi e danni incalcolabili

Le principali associazioni che rappresentano i costruttori di autoveicoli e di componenti dell’Unione Europea, avvertono oggi che il settore potrebbe subire pesanti ripercussioni. Sono:

  • ACEA (Associazione europea dei costruttori di autoveicoli)
  • CLEPA (Associazione europea della componentistica automotive)
  • SMMT (Associazione inglese dell’automotive)
  • VDA (Associazione dell’industria automotive tedesca)
  • CCFA (comitato dei costruttori di auto francese )
  • PFA (Plateforme automobile francese)

Insieme a loro, altre 21 associazioni nazionali.

Le associazioni ribadiscono che senza un accordo al 31 dicembre, entrambe le parti sarebbero costrette a commerciare secondo le cosiddette regole non preferenziali dell’Organizzazione Mondiale del Commercio (WTO), tra cui un dazio del 10% sulle auto e fino al 22% su veicoli commerciali leggeri e autocarri.

Le tariffe doganali non “agevolate” – molto più alte dei ridotti margini della maggior parte dei produttori – dovrebbero quasi certamente essere trasferite sui consumatori, rendendo i veicoli più costosi, riducendo le possibilità di scelta e incidendo sulla domanda di due realtà, UK e UE, in cui vengono prodotti il 20% dei veicoli mondiali.

Gli effetti sulle aziende di componentistica, settore in cui l’Italia è leader

Inoltre a causa della Brexit, anche i fornitori automotive e i loro prodotti saranno colpiti da queste tariffe. Tariffe che renderanno la produzione più costosa, oppure porteranno ad un aumento delle importazioni di componenti da altri Paesi competitivi.

Un concetto, quello degli effetti sui fornitori – di cui l’Italia ha una lunga tradizione e numerose imprese sul suo territorio – rimarcato anche da Gianmarco Giorda, Direttore di ANFIA. Vi riportiamo il suo commento.

Il Regno Unito è uno dei maggiori partner commerciali per l’industria automotive italiana, il terzo mercato di destinazione per parti e componenti per autoveicoli, con il più alto avanzo commerciale positivo (1,34 miliardi di Euro nel 2019), e il quarto per le autovetture.

Come ben evidenziato dalla pandemia, c’è una forte connessione delle catene di fornitura tra i Paesi europei dell’automotive e la relazione tra i fornitori italiani di componenti e gli OEM locali in UK è irrinunciabile in un momento delicato di lenta ripresa come l’attuale.

Il punto è quindi evitare l’introduzione di nuove tariffe doganali, di lunghe pratiche burocratiche e un’impennata dei prezzi, salvaguardando così la competitività del settore automotive sia in Italia che nel Regno Unito”.

Preoccupazioni da cui nemmeno la Germania, la locomotiva d’Europa anch’essa quasi deragliata a causa del Covid-19, è esente.

Ecco le parole di Hildegard Müller, Presidente del VDA.

“L’industria automotive ha bisogno di condizioni stabili e affidabili. Sarebbe un grande svantaggio per entrambe le parti se l’uscita della Gran Bretagna si concludesse con l’applicazione di dazi nei rapporti commerciali bilaterali.

Ciò metterebbe a repentaglio catene del valore strettamente legate tra loro e potrebbe renderle non redditizie. Le nostre aziende associate hanno più di 100 siti produttivi in Gran Bretagna. Ci auguriamo che quest’ultima e l’Unione Europa proseguano la loro stretta collaborazione – con un esaustivo accordo di libero scambio.”

sistemi di platooning

Libero scambio, a tutti i costi

Il raggiungimento di un ambizioso accordo di libero scambio tra la Gran Bretagna e l’Unione Europea con disposizioni specifiche per il settore automotive è fondamentale per il suo successo futuro. In definitiva, qualsiasi accordo dovrebbe includere tariffe e quote zero, regole di origine adeguate sia per i veicoli con motore a combustione interna che per i veicoli ad alimentazione alternativa, oltre a componenti e propulsori, e un quadro regolatorio per evitare divergenze normative.

E’ fondamentale che le imprese abbiano informazioni dettagliate sulle condizioni commerciali concordate che dovranno affrontare dal 1 gennario 2021, per potersi preparare. Questo, unito a un sostegno mirato e a un adeguato periodo di introduzione graduale che consenta un maggiore utilizzo di materiali stranieri per un periodo di tempo limitato, garantirà alle imprese la possibilità di far fronte alla fine del periodo di transizione.

“La posta in gioco è alta per l’industria automotive dell’Unione Europea – dobbiamo assolutamente ottenere un ambizioso accordo commerciale con la Gran Bretagna entro gennaio. Altrimenti il nostro settore – già scosso dalla crisi dovuta al COVID-19 – sarà di nuovo duramente colpito”, ha concluso Erik-Mark Huitema, Direttore Generale di ACEA.

I danni dell’hard Brexit colpirebbero anche la capacità di investimento dei produttori in un settore, quello automotive, che su Ricerca & Sviluppo rappresenta il più importante investitore per l’Unione Europea, con più di 60 miliardi di euro ogni anno. Una mancanza che si tradurrebbe, ancor prima che in perdita di competitività, anche in un rallentamento della transizione energetica verso alimentazioni alternative, in un’ottica europea a zero emissioni entro il 2050. Una data, forse, sempre più utopistica.

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