Brexit, la carenza di autisti mette in crisi l’autotrasporto britannico
Covid e Brexit hanno fatto esplodere la problematica: solo l'1% dei guidatori ha meno di 25 anni. E i tempi di guida sono stati aumentati a 11 ore, con gravi ricadute sulla sicurezza
«Avete voluto la Brexit? Ora saranno i Briton (britannici) a lavorare come schiavi al posto degli stranieri». Scritto in un inglese approssimativo, questo commento postato da un driver polacco sulla pagina facebook di Robert Monks, segretario generale del sindacato britannico degli autisti Urtu (United Road Transport Union fondato addirittura nel 1890), la dice lunga sul clima che si respira nel mondo dell’autotrasporto d’Oltremanica.
Brexit e Covid, un combinato disposto dagli effetti devastanti
Il sovrapporsi delle disposizioni anti Covid e del caos normativo seguito all’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea è infatti andato ad aggravare la crisi di un comparto che già soffriva di un cronico problema di invecchiamento degli autisti: l’età media è 55 anni e meno dell’uno per cento è sotto i 25 anni. Tant’è che prima che la Brexit mettesse in dubbio i loro posti di lavoro, erano almeno 60mila i driver con passaporto straniero, in maggioranza provenienti da Paesi come Polonia, Romania e Bulgaria, regolarmente in attività in Gran Bretagna.
Tutti driver che, lasciati a casa dalla pandemia e con la prospettiva della nebulosa trafila burocratica per ottenere un permesso di soggiorno, hanno preferito fare le valigie e tornarsene al Paese d’origine. Oppure trasferirsi sull’altra sponda della Manica in territorio comunitario: in Olanda e Germania c’è altrettanta carenza di autisti, gli stipendi sono più alti e il costo della vita in euro è ben lontano da quello in sterline.
Si cerca di attirare nuovi lavoratori dall’estero. E rispunta l’opzione per allungare i trailer
Una crisi che la Road Haulage Association (RHA), la Confindustria del trasporto britannica, ha cercato di tamponare richiedendo all’Immigration Office di attivare visti per lavoratori temporanei riservati ad autisti di camion e bus, oltre a inserire la professione nella Home Office Shortage Occupation List, l’elenco dei lavori per cui c’è carenza di personale nell’isola. Altro tentativo, la definitiva approvazione della norma che estende la lunghezza massima dei semirimorchi (trailer) da 13,6 a 16,65 metri.
Un trucco per caricare più pallet, tanto la Gran Bretagna è fuori dall’UE e se ne può infischiare delle regole sulla lunghezza massima dei veicoli, ma che non è certo in grado di incidere su una situazione che vede alcune catene di supermercati in difficoltà nel far arrivare la merce sugli scaffali. E un’idea neppure troppo pratica, viste le dimensioni di molte strade del Regno Unito, dove già oggi i trailer da 13 metri faticano a viaggiare.
La Brexit porta all’estensione dei tempi di guida. Con ricadute sulla sicurezza in strada
Lo scorso 7 luglio, poi, il ministro dei Trasporti di Londra, Grant Shapps, ha annunciato che per far fronte alla “driver serious shortage” (grave carenza di autisti) i tempi di guida sono “temporaneamente” estesi a 11 ore, sebbene soltanto due volte alla settimana. Una regola a dir poco funambolica, visto che contemporaneamente il ministro ha ribadito che «ciò non vuol dire che i conducenti siano autorizzati a guidare se stanchi» richiamando i datori di lavoro a vigilare sulla sicurezza.
Ma di fatto obbliga i camionisti inglesi a lavorare di più, riducendo anche i periodi di riposo settimanale. E mette nei guai chi lavora nell’internazionale, visto che in caso di controllo Oltremanica, sul tachigrafo risulteranno tempi di guida illegali. Benvenuti nella nuova Gran Bretagna post Brexit.