Il 30 gennaio scorso la presidente della Commissione UE Ursula von der Leyen ha incontrato i leader dei principali gruppi automobilistici europei e rappresentanti delle parti sociali per dare avvio a un confronto che porterà a un piano integrato di rilancio dell’industria automotive europea. La presentazione del piano è fissata per il prossimo 5 marzo e solo allora conosceremo qualche dettaglio in più sul nuovo corso che la presidente della Commissione ha voluto avviare in modo così deciso e mediaticamente forte.

Commissione UE: uniti per la decarbonizzazione

La foto di gruppo che ha fatto rapidamente il giro dei social network e delle testate, infatti, ha un alto valore simbolico, se non di ritrovata, quanto meno di ricercata unità tra istituzioni e mondo produttivo. Non è un mistero che l’ormai celeberrima roadmap per la decarbonizzazione del trasporto in Europa sia stata vissuta dall’industria più come un’imposizione della politica che come un’esigenza reale e condivisa. Gli impegni e gli investimenti a cui le Case hanno dovuto far fronte sono stati davvero ingenti e finora (i dati lo mostrano con chiarezza) il mercato non ha risposto all’appello. Vale per le auto così come per i veicoli commerciali.

Sullo sfondo, poi, si stagliano le multe che da quest’anno i costruttori che non rispettano gli obiettivi di riduzione delle emissioni sono chiamati a pagare. A questo proposito, la stessa von der Leyen a colloquio con i giornalisti è stata piuttosto vaga, parlando di “necessità di rispettare gli impegni assunti” ma anche di “pragmatismo in una fase complessa” della transizione energetica nel mondo del trasporto.

camion a guida autonoma cina

In questo scenario si inserisce l’incombente minaccia competitiva dei brand cinesi, già evidente nel settore auto e molto probabile, nei prossimi anni, nel settore dei veicoli commerciali, a partire da quelli leggeri. Ma si inserisce anche la politica sbandierata dal neo presidente americano Donald Trump, che intende proteggere i costruttori americani e smantellare l’impianto costruito dal predecessore Joe Biden per favorire e finanziare la transizione anche al di là dell’Atlantico.

Cosa potrebbe cambiare a marzo?

Le domande che è lecito porsi, dunque, sono: in che misura l’Europa intende ricorrere ai dazi per arrestare l’ondata cinese? E soprattutto, l’impianto della roadmap per la riduzione delle emissioni (neutralità carbonica entro il 2050, riduzione delle emissioni del 55% entro il 2030, stop alla vendita di veicoli leggeri con motore a combustione dal 2035) verrà mantenuto? Molte risposte, lo abbiamo detto, arriveranno all’inizio di marzo con la pubblicazione del piano industriale europeo. Qualche ipotesi, però, la si può fare.

Per quanto riguarda i dazi, pare difficile una ulteriore stretta rispetto a quanto deciso lo scorso ottobre, quando sono stati introdotti ulteriori balzelli rivolti proprio ai costruttori cinesi. Questo sia perché è facile pensare che presto alcuni Marchi inizieranno la produzione in Europa o promuoveranno ulteriori joint venture, sia perché le comprensibili rivalse cinesi sui Marchi europei rischiano di costare ancora più caro. Anche per questa ragione, diversi costruttori europei si sono sempre dichiarati contrari ai dazi, preferendo (almeno ufficialmente) affidarsi al mercato e al prodotto sulla strada del successo.

volkswagen Amarok

La roadmap di decarbonizzazione, invece, potrebbe non essere toccata negli obiettivi di fondo, bensì modificata nei passaggi intermedi per permettere alle Case di avere più tempo a disposizione per adattare struttura, produzione e volumi, in attesa che il mercato dia finalmente delle risposte più incoraggianti, specialmente per quanto riguarda i veicoli elettrici. Non è un segnale di poco conto il fatto che proprio in questi giorni il commissario europeo ai Trasporti, il greco Apostolos Tzitzikostas (lo stesso incaricato di preparare il piano industriale per il 5 marzo), abbia ufficializzato un investimento europeo di quasi 1 miliardo di euro per finanziare colonnine di ricarica ultra-fast per veicoli industriali.

L’automotive dà lavoro a 13 milioni di persone in Europa

Piuttosto, un’apertura di credito potrebbe arrivare dalle istituzioni UE sulla questione dei biocarburanti, finora esclusi dallo scenario post-2035 sollevando le proteste di diversi costruttori, specialmente nell’ambito dei trasporti pesanti. Qualcosa, questa è più di una sensazione, cambierà rispetto al piano originario avallato dalla Commissione: sono troppo pressanti le difficoltà di un settore, l’automotive, che in Europa conta circa 13 milioni di lavoratori, considerando anche l’indotto. E la crisi ormai conclamata della locomotiva tedesca potrebbe trascinare anche altre nazioni verso situazioni altrettanto complesse, se non di più.

Da registrare, infine, una voce di dissenso verso l’incontro del 30 gennaio. È quella dell’IRU, la principale associazione internazionale che riunisce gli operatori, scontenti per non essere stati coinvolti in questa nuova fase di confronto e trattative, più o meno celate dai sorrisi delle foto di gruppo.

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