I prossimi anni saranno davvero decisivi per capire come cambierà il settore automotive in Italia, e come l’industria dovrà adeguarsi per limitare, quanto meno, le potenziali ricadute negative a livello occupazionale. ANFIA e UCIMU, rispettivamente l’associazione che riunisce le aziende della filiera automotive e quella che rappresenta i protagonisti del settore delle macchine utensili, insieme a ITA (Italian Trade Agency) e in collaborazione con AlixPartners, hanno condotto e presentato un interessante studio che prende in considerazione diversi fattori.

ANFIA e UCIMU immaginano il futuro della filiera automotive

Premessa d’obbligo, per quanto ci riguarda. La scelta è stata quella di limitare il campo d’azione ai veicoli leggeri, dunque le auto innanzitutto e i veicoli commerciali leggeri in seconda battuta. Con interviste one-to-one, ma anche con questionari somministrati alle aziende, i responsabili dello studio sono partiti dal mercato dei veicoli leggeri, appunto, che è stato in recupero, lo scorso anno, di circa il 10 per cento rispetto al 2022: potrebbe sembrare un dato positivo ma non siamo ancora ai livelli pre-pandemici.

Guardando al futuro, le stime parlano di un nuovo superamento della fatidica soglia del 2019, anche se non prima del 2027. La ripresa sta avvenendo, e avverrà, con velocità differenti nei vari Paesi del mondo: se gli Stati Uniti sono più lenti, la Cina dovrebbe essere il vero motore della crescita, mentre il mercato europeo è un po’ più stagnante.

Con il mercato italiano caratterizzato da una domanda ancora piuttosto stagnante anche rispetto al contesto continentale, sebbene, come sappiamo, la ripresa rispetto a un 2022 molto negativo c’è stata quest’anno anche nel nostro Paese. Da segnalare, in Italia come in Europa, la quota di mercato crescente dei brand cinesi, addirittura triplicata rispetto a qualche anno fa.

Il trend della produzione rispecchierà quello della domanda

Passando alla produzione, secondo lo studio presentato da ANFIA e UCIMU, il trend rispecchierà sostanzialmente quello della domanda. Cambieranno alcuni aspetti locali: dovrebbe continuare a crescere la produzione in Germania, con l’Italia piuttosto stabile intorno ai 900 mila veicoli prodotti ogni anno. In vista del 2030, dovrebbe aumentare la produzione in Italia di veicoli del gruppo Stellantis: dal 21 al 24%. Certo, sappiamo le note vicissitudini che riguardano il futuro di Stellantis in Italia, in un continuo braccio di ferro con il Governo, che sta considerando peraltro di aprire la produzione in Italia anche ad altri gruppi internazionali: si guarda molto da vicino alla Cina, ma non ci sono state ancora conferme. E lo studio non prende in considerazione uno scenario del genere, che potrebbe parzialmente cambiare le carte in tavola.

StellantisProOne-Mid-sizeVans

In tema di transizione energetica, il trend evidenziato dallo studio prevede che entro il 2030 un’incidenza di circa il 65 per cento dei veicoli a batteria sul totale, a livello globale. Per l’Italia potrebbe essere addirittura il 92 per cento per i veicoli, il 57 per cento per i motori. E qui veniamo all’aspetto forse più interessante del progetto, quello che mira a misurare, o quanto meno a prevedere, le ricadute sulle aziende dell’indotto attualmente operanti in Italia, e quindi sull’occupazione.

La filiera della componentistica in Italia e le ricadute dell’elettrificazione

Circa un quarto dei componenti realizzati in Italia sono attualmente destinati nello specifico alla realizzazione di motori endotermici. Il 4 per cento sono componenti destinati a powertrain totalmente elettrici, mentre il 70 per cento sono componenti comuni, cioè installabili in modo indipendente su qualsiasi tipologia di veicolo.

Si stima che la filiera della componentistica in Italia generi già oggi un fatturato complessivo di circa 52 miliardi di euro. Di questo, circa il 58 per cento è desinato al veicoli prodotti in Italia, e circa il 31 per cento riguarda l’export verso l’Europa e circa l’11 per cento viene esportato fuori dall’Europa.

Oggi in Italia, circa il 22 per cento delle aziende della filiera automotive (140) è attivo nella produzione di componenti specifici per veicoli elettrici, mentre il 48 per cento (300 aziende) lavora solo nel settore del motore a combustione, con 186 realtà attive su entrambi in settori. L’elettrificazione della filiera, graduale ma quasi inevitabile da oggi alla fine del decennio, avrà quindi certamente delle ricadute occupazionali, con dai 20 ai 40 mila posti di lavoro a rischio: significa fino al 30 per cento degli addetti della filiera italiana dell’auto e dei veicoli commerciali leggeri, senza contare OEM e indotto indiretto.

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